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sabato 25 agosto 2012

Feliciano Rossitto

Feliciano Rossitto era deputato comunista all'Ars quando Fernando Santi, il grande prestigioso segretario aggiunto della CGIL che guidava con saggezza assieme ad Agostino Novella venne a proporcelo al Comitato Regionale della CGIL in sostituzione di Pio La Torre che tornava al PCI per un incarico nazionale che lo avrebbe trattenuto a Roma fino al suo fatale ritorno in Sicilia all'inizio degli anni ottanta. Era un comunista elitario con una visione illuministica della politica. Riteneva che la realtà si sarebbe potuta cambiare non solo con le lotte ed il movimento della società ma attraverso accordi tra illuminati dirigenti della politica e del potere industriale. Era amico di Rosario Nicoletti e di Nicola Capria segretari della DC e del PSI. Capria per un certo periodo di tempo vice presidente della Regione. Si trovò a gestire la lotta per l'abolizione delle zone salariali e questa la fece con la CGIL nelle piazze. Fu fondatore assieme a me ed altri 15 compagni del Direttivo della CGIL nazionale del Sindacato Scuola che fino allora era una componente chiamata "quarta mozione" del sindacato nazionale scuola. PCI e PSI erano contrari a farne un sindacato della CGIL. Tristano Codignola grande intellettuale del PSI era decisamente contrario. Riuscimmo a fare approvare dal Direttivo della CGIL (contraria la segreteria nazionale Scheda Trentin ed altri) una risoluzione che impegnava per la fondazione di un sindacato scuola che in effetti fu poi fondato e diede grandissime soddisfazioni ai compagni professori e non della scuola al movimento sindacale ed alla sinistra italiana.
Io e Feliciano Rossitto abbiamo dovuto combattere un'altra pesante battaglia dentro la CGIL per l'abolizione delle gabbie salariali. La questione delle gabbie era scoppiata nel Sud a Catania ed in Sardegna con scioperi molto forti. La CGIL riunì tutte le strutture meridionali al Maschio Angioino di Napoli dove per due giorni dibattemmo il tema. La CGIL Nazionale era contraria. Contrarissimi Rinaldo Scheda e Bruno Trentin uomini eminentissimi. Riuscimmo a metterli in minoranza ed avviare un movimento che si concluse con l'abolizione delle gabbie salariali. Certo eravamo favoriti dalla spinta ascensionale delle masse che sembrava irresistibile e anche dal PSI al governo che appoggiava apertamente questo genere di rivendicazioni catalogate sotto il titolo "modernizzazione democratica dell'Italia".
Feliciano fu anche protagonista della vicenda scaturita dai fatti di Avola. La polizia sparò ed uccise due braccianti ma l'emozione che scatenò nel paese quel terribile episodio portò alla riforma del collocamento e fece del caporalato un vero e proprio reato. (Ora il caporalato è gestito dalle agenzie interinali e quello della intermediazione mafiosa della mano d'opera straniera non viene neppure rilevato!!)
Fu anche importante protagonista della ricostruzione del Belice dopo il terribile terremoto. Affluirono in Sicilia anche per merito suo aiuti da tutta Italia e specialmente dall'Emilia Rossa.
Amministrava la CGIL con la parsimonia tipica dei ragusani. Avevo bisogno di una auto e mi vendette la vecchia seicento della CGIL per 250 mila lire. Una cifra notevole per me che ne guadagnavo meno di un terzo al mese! La seicento era priva della spalliera del sedile di guida e Giuseppina per qualche tempo la guidò reggendosi con il volante da Palermo a Mezzojuso dove insegnava e dove si recava tutti i giorni a spese sue!

Ugo Minichini

Nel 1962 si svolse al ridotto del teatro Politeama di Palermo il III Congresso regionale della CGIL. Ugo Minichini, segretario regionale aggiunto e capo della componente socialista della Cgil siciliana, la grande prestigiosa componente unitaria esistente prima della scissione del PSI, venne ad Agrigento per chiedermi di accettare di entrare nella segreteria regionale della CGIL. Io lo ringraziai ma non accettai l'invito. Non ero preparato a trasferirmi a Palermo. Prima di tutto ero quasi spaventato dall'incarico che mi veniva proposto al quale non mi consideravo idoneo e avevo anche ragioni personali. Con il modesto contributo che mi passava la CdL di Agrigento aiutavo la mia numerosa famiglia di cui ero il primogenito. Si sa che i primogeniti spesso abbiamo il destino di aiutare la famiglia nella quale siamo nati. Ugo Minichini non si fece scoraggiare e, per facilitarmi la cosa, mi fece nominare consigliere di amministrazione dell'Ente Minerario Siciliano, ente nel quale dovevo rimanere fino al 1975. In più fece assumere mio fratello Fortunato in un Ente ..
Ugo Minichini era fraterno amico di Pio La Torre allora numero uno della CGIL siciliana che mi voleva anche lui a Palermo. Io avrei dovuto assumere il ruolo di secondo segretario socialista della CGIL. In tutto la segreteria era fatta di cinque persone.
Al Congresso regionale della CGIL partecipai come delegato della CDL di Agrigento. Fui eletto nella segreteria regionale. Il PSI siciliano non appoggiava la mia candidatura e proponeva il compagno Anselmo Guarraci che poi, nel tempo, sarebbe stato segretario regionale del Partito e deputato europeo nonché capo della corrente di sinistra del psi. Anselmo era sostenuto dalla forte federazione socialista di Palermo che fece un forte pressing sul Congresso della CGIL. Ma i socialisti della CGIL capeggiati da Ugo Minichini e sostenuti all'esterno da Pio La Torre non cedettero e mi imposero. Fui eletto contro la mia volontà e contro la volontà del Partito come candidato interno della CGIL e rappresentante di interessi unitari della stessa. Non mi trasferii a Palermo e continuai a fare il sindacalista ad Agrigento fino al gennaio del 1964 anno in cui Giacomo Brodolini mi mandò a chiamare a Roma e mi ingiunse di raggiungere Palermo. Io ero autonomista. Si preparava la scissione di tutta la componente sindacale della CGIL che se ne sarebbe andata a fondare il PSIUP ed il partito temeva di restare senza alcuna rappresentanza nella CGIL. Non mi restava che obbedire e trasferirmi a Palermo. Il 12 gennaio 1964 si realizzava la scissione della corrente di sinistra del Partito ed io mi sono trovato sostanzialmente solo a rappresentare il Partito nella CGIL. La potente componente sindacale era tutta con Ugo Minichini in testa nel nuovo Partito.
Ugo Minichini è stato un dirigente che ha fatto la CGIL siciliana assieme a Pio La Torre e poi a Feliciano Rossitto. Era originario di Genova ed il Partito lo aveva mandato in Sicilia appunto per assumere quel prestigioso incarico. Era un grande creatore di nuove realtà organizzative ed assai stimato nella opinione pubblica siciliana. Era persona profondamente disinteressata. Se sono diventato dirigente della CGIL siciliana lo debbo a lui ed a Pio la Torre che, molti anni dopo da segretario regionale del PCI, nel 1979 mi volle come segretario generale pur essendo i socialisti minoranza nella CGIL. Il tandem La Torre Minichini credo sia stato trai i migliori che la CGIL potesse avere in quegli anni difficili nei quali i lavoratori non avevano ancora niente. C'erano le gabbie salariali e non c'era ancora lo Statuto dei Diritti che sarebbe venuto nel 70. Ora siamo tornati a stare peggio di allora in quanto a diritti e condizione economica. Negli ultimi venti anni la CGIL ha restituito tutto al padronato italiano. Oggi nelle fabbriche e negli uffici il terrore di perdere il posto di lavoro si taglia con il coltello. La condizione dei lavoratori e delle lavoratrici è diventata umiliante. Dappertutto ma specialmente nella scuola ridotta da varie "riforme" ad un inferno per gli insegnanti che erano stati il perno di un grande processo di democratizzazione che ebbe un punto essenziale nei decreti delegati. Oggi agli insegnanti hanno reso l'insegnamento un supplizio che debbono subire in stato di permanente incertezza per il futuro immediato. La CGIL di oggi ha fatto ben poco per salvarli e salvare con loro la scuola ed abbiamo un presidente del Consiglio che appoggia apertamente la scuola privata contro la Costituzione con il consenso del Pc che era stato uno dei sostenitori dei decreti delegati e della nuova scuola italiana. La condizione penosa degli insegnanti è parte di una enorme sconfitta che la classe lavoratrice italiana ha subito sopratutto a causa del cedimento del suo partito e del suo sindacato alla ideologia liberista.



La sigaretta di Campobello di Licata

Azzo Toni volle che mi occupassi della organizzazione dei giovani socialisti. Erano i ragazzi da 14 a 21 anni (allora era questa l'età legale) che si iscrivevano al PSI come membri aderenti. Questa definizione era dovuta al fatto che la FGS si era scissa dal Partito assieme a Saragat nel 1947 e da allora il Partito non si era deciso a ricostituirla. Dovevamo accontentarci di esserne membri non effettivi. Mah! Responsabile nazionale del movimento era un giovane veneziano di grande fascino Emo Egoli (che poi è stato per tantissimi anni presidente della associazione italo-araba). Lo collaboravano Vincenzo Balzamo che era anche il Direttore del giornale "La Conquista" salernitano un compagno che decenni dopo sarebbe stato coinvolto nelle vicende che portarono alla fine di Craxi Erasmo Boiardi ed un emiliano verace che si chiamava Lionello Pellicani che si occupava dell'organizzazione e che venne ad Agrigento durante un periodo elettorale. Mi dedicai furiosamente alla costruzione dei circoli giovanili nella provincia che girai in lungo ed in largo naturalmente sempre con mezzi pubblici treno o autobus. Ricordo che per andare da Ravanusa a Campobello di Licata si prendeva alla stazione una pittoresca carrozza nera dalle ruote enormi e dai finimenti e copertura che cadevano a pezzi. Il povero vecchio cavallo si faceva i sei o sette chilometri che separavano le due cittadine.
Ricordo che a Campobello di Licata feci una affollata assemblea di tesseramento aiutato da Angelo che sarebbe diventato dirigente del circolo. Alla fine al momento dell'acquisto delle tessere un ragazzo mise sul tavolo una sigaretta dicendo che poteva pagare la tessera con quella. Era un ragazzo molto serio ed anche molto molto povero. Quella era la sua sola ed unica sigaretta (allora si compravano sfuse)
Angelo mi invito a pranzo a casa sua. Era una famiglia numerosa riunita a tavola. Il pranzo consisteva in un piatto di maccheroni al sugo di carne. La carne era un solo pezzo di maiale. Non dimenticherò mai le manovre che fecero per fare finire quell'unico pezzo di carne sul mio piatto.
Riuscii a fare una organizzazione di oltre 1000 iscritti che da sola era più della metà di tutti gli iscritti in Sicilia. Fui premiato dalla "Conquista" con la bandiera d'onore e ricevetti in forma solenne l'incarico di presiedere il VI Convegno Nazionale che poi si svolse a Perugia nel giugno del 1955.
Mentre presiedevo emozionatissimo ( Egoli mi aveva imbottito di tranquillanti ma non erano serviti a niente) entrò nella sala dei Notari la mamma di Salvatore Carnevale. Il Congresso si alzò in piedi ad applaudire commosso. Erano presenti Rodolfo Morandi (che sarebbe morto venti giorni dopo) FRancesco De Martino e Pietro Nenni. Fu la più bella ed entusiasmante esperienza della mia vita. Credo che le esperienze più belle sono quelle che si fanno quando si è ancora molto giovani ed il mondo ci sembra tutto a portata di mano. La sera il congresso sciamava in tutta Perugia ed era eccitante conoscere tante ragazzi e ragazze di tante città d'Italia. Ebbi modo anche di ascoltare un comizio di Pietro Nenni fatto dalla Loggia dei Notari. Al ritorno a casa mi addormentai sul treno. Ero su un vagone che andava a Caserta e vi finii. Ebbi comunque modo di vedere la Reggia dal finestrino del treno.



Pino Palumbo

Segretario della Camera del Lavoro di Agrigento fu Pino Palumbo un operai pastaio della Piedigrotta di Casteltermini. Era un uomo forte vigoroso, rusciano con una grande faccia rosea sormontata da una testa stempiata. Era un comunista che aborriva tutte le durezze del comunismo e della disciplina "rivoluzionaria". Un uomo pacifico che amava la buona tavola e la bella compagnia. Disponibile ed aperto era persona profondamente onesta. Non era settario. Aveva l'umiltà di riconoscere la superiorità culturale di tanti suoi collaboratori. Guidava la CCDL di Agrigento con sagacia e non mandò mai i lavoratori allo sbaraglio pur condividendone a volte le lotte più estreme. Apparteneva ad una generazione di compagni che il movimento delle lotte aveva promosso e portato in cima all'organizzazione. Molti di loro erano stati in galera. Ricordo che assieme a lui ed ad Antonio Ritacco passai una notte insonne a Canicattì nella stanza di uno squallido albergo in attesa che facesse l'alba . Dovevamo dirigere il primo sciopero generale dei braccianti agricoli (che poi era lo sciopero dei poveri della città) dopo i noti fatti della strage del dicembre del 1947. Appena cominciò ad albeggiare ci recammo alla Camera del Lavoro dove trovammo già riuniti una cinquantina di braccianti infreddoliti e spaventati. Quando iniziammo il corteo verso le sette eravamo almeno in duecento e mano a mano che il corteo attraversava i quartieri poveri della città si ingrossava. Diventammo qualche migliaio. Avevamo recuperato la città ed i lavoratori alla libertà della lotta. All'altezza di Borgalino proprio davanti la casa di colei che dieci anni dopo sarebbe diventata mia moglie i carabinieri ci caricarono e ci fu un parapiglia. Non dimenticherò mai la scena di un povero scheletrico bracciante vestito di stracci che difendeva la bandiera rossa dal maresciallo dei carabinieri enorme e paonazzo che voleva a qualsiasi costo strappagliela. Palumbo era con me nel cuore dello scontro. A Canicattì nasceva da quel giorno di lotta un dirigente bravo e generoso come Saccaro a cui oggi è intestata la Camera del lavoro. Era il 1952 ed io ero presente come dirigente dei giovani socialisti agrigentini. Anni dopo sarei diventato anche io sindacalista della CGIL.



Taratatà

Il Partito mi mandò a comiziare a Casteltermini non ricordo più in occasione di quali elezioni ma forse di quelle regionali siciliane del 55. Andai a Casteltermini in treno e vi giunsi mentre stava parlando nella piazza principale del Paese difronte alla Chiesa Madre l'On.le Giuseppe Montalbano del PCI ,insigne giurista e vice presidente della Ars. I compagni di Casteltermini in grandissima parte minatori lo avevano accolto con molto rispetto. Il palco dal quale parlava era stato tutto adornato di fiori. Senonchè Montalbano era afflitto da balbuzie ed inoltre leggeva il discorso che si era preparato. Un discorso importante ma noiosissimo ed adatto ad un pubblico ed una occasione diversa da quella di un comizio elettorale. Il risultato fu di insoddisfazione e di disagio. I compagni si informarono chi dovesse parlare dopo Montalbano e qualcuno mi indicò a loro. Avevo l'aspetto di un giovane assai magro e sembrai a loro bisognoso di ess
ere rimesso in forze subito, prima del comizio. Nonostante le mie proteste due di loro mi condussero in una osteria ed ordinarono per me una grossa bistecca al sangue ed un bicchiere di vino rosso. Protestai ma non sentirono ragioni. Mi fecero mangiare e bere tutto. Divenni un pochino brillo non essendo abituato a bere. Poi mi riaccompagnarono sotto il palco dal quale Montalbano continuava a parlare e mi dissero. Quando parli guai a te se "chicchii" (balbetti) come questo e guai a te se leggi. Salii sul palco con la testa leggera. Non ricordo assolutamente nulla di quello che dissi. Però percepii un crescente consenso ed applausi che si scatenavano uno dietro l'altro. Per fortuna non mi scappò di dire niente di compromettente perchè in piazza c'era il maresciallo che ascoltava il comizio per farne poi relazione scritta (facevano così allora). Insomma il comizio fu un successo ed io che ero signor nessuno avevo rincuorato i compagni comunisti e socialisti castelterminesi delusi da uno dei più importanti dirigenti della sinistra siciliana. Era uno dei giorni della Festa del Taratatà e ricordo la enorme folla che dal portone della Chiesa si era rovesciata in piazza accanto a quella che c'era per i comizi. Dopo il comizio abbiamo improvvisato un corteo e siamo andato in Sezione (penso fosse quella comunista) dove io, socialista, continuai ad essere elogiato. La sera ritornai ad Agrigento sempre in treno.


Metanodotto Italia-Algeria

Oggi sono un modesto pensionato dell'Inps in ansia per le tasse e per le bollette che decurtano il piccolo assegno con il quale vivo eppure sono stato uno dei creatori del metanodotto che da trent'anni rifornisce l'Italia di gas proveniente dall'Algeria e che per un lungo periodo di tempo ha assicurato la pace nel Mediterraneo e la prosperità e la sicurezza energetica del nostro Paese e della stessa Algeria.
Facevo parte del Consiglio di Amministrazione dell'Ente Minerario Siciliano presieduto prima dall'Ing.Sarti dell'Eni e poi da Graziano Verzotto un geniale uomo politico dc ed imprenditore pubblico che aveva in testa un programma serio di industrializzazione della Sicilia forse l'unico programma non colonialista che la Sicilia abbia mai avuto. La Sicilia è stata colonizzata da industrie inquinanti. Abbiamo subito la devastante presenza dell'Eni a Gela e della Montedison a Siracusa e delle raffinerie che hanno fatto crepare di cancro migliaia di persone nel silenzio dei siciliani simile a quello dei tarantini di oggi che vogliono l'ILVA anche così com'è.
Il prof.Rocca e Paolino Angrisani membri del consiglio di amministrazione dell'Ems presentarono a Verzotto un progetto di metanodotto Algeria-Italia basato sullo attraverso sottomarino dello Stretto di Sicilia, una idea allora di rara audacia perchè mai nel mondo si era tentato una impresa del genere.
L'Eni infatti proponeva il sistema dei gasificatori e degasificatori collocati in Africa ed in Sicilia ed una flotta di navi metaniere che avrebbero trasportato il gas reso liquido.
Contro la volontà dei "poteri forti" contattammo la Sonatrack che era la corrispondente dell'Eni per la l'Algeria. Ricordo con commozione la visita dei dirigenti della Sonatrack all'Ente Minerario Siciliano. Erano dei ragazzi poco più che ventenni che avevano in mano una risorsa fondamentale come il metano. Facemmo accordi con la Sonatrack e fondammo assieme a loro una società che si chiamò Sonems e che presiedette a tutta l'operazione che ci accingevano a fare.
Per 500 milioni di lire di allora (una somma enorme negli anni sessanta) incaricammo la Bectel società specializzata nella posa di tubi nelle profondità del mare di prepararci un progetto di fattibilità. Progetto che fu fatto in sei mesi con risultati estremamente incoraggianti e positivi. L'Eni ci voleva comprare il progetto per 5 miliardi di lire ma noi tenemmo duro.
Lascio immaginare lo stress che subimmo da quel momento in poi. Credo che i servizi segreti e le compagnie petrolifere del mondo si fossero tutti mobilitati per farci la radiografia ed esplorare profondamente la personalità e la vita di ognuno dei folli consiglieri dell'Ems che avevano usato sfidare i potenti.
Il metanodotto fu fatto. Verzotto pagò con una denunzia basata sul fatto che aveva depositato dieci miliardi di lire dell'Ems nella Banca Privata. Un versamento sollecitato dalla segreteria amministrativa della DC a tutti i presidente DC degli enti economici italiani. Ma Verzotto fu costretto a scappare in Libano per non finire in prigione.
Quando si inaugurò il metanodotto a Mazara del Vallo non era prevista la presenza del Presidente dell'Ems al tavolo della presidenza. Solo managers dell'Eni! Paolino Angrisani ebbe guai grossi e per anni non fece altro che andare e venire dai tribunali. Il prof.Rocca è morto a Roma di crepacuore. Io sono stato risparmiato probabilmente perchè ritenuto un pesciolino troppo piccolo e troppo poco importante. Eppure senza l'apporto della CGIL che io rappresentavo nell'EMS difficilmente si sarebbe potuto andare avanti controcorrente.
Nei verbali della Sonems che conservo c'è lo schema di tracciato del metanodotto disegnato così come è stato poi realizzato dieci anni dopo.
La Sicilia non ha da allora mai più avuto un programma serio di sviluppo economico.



Azzo Toni

Nel 1953 la Direzione del PSI commissariò la Federazione di Agrigento. . Persona di spicco del partito agrigentino era l'On.le Giosuè Fiorentino di Palma di Montechiaro che era stato sottosegretario di Stato nel governo De Gasperi. Fiorentino era stato accusato da Michele Pantaleone di accettare voti dalla mafia. Cosa che successivamente fu smentita dallo stesso Pantaleone che chiese scusa ma che tuttavia aveva allarmato la Direzione. Salvatore Lauricella e Filippo Lentini non erano ancora importanti come sarebbero diventati dopo.
Azzo Toni era un vigoroso settantenne elegantemente vestito e pettinato con una scrima che tagliava in due i capelli argentei. Era un fiero antifascista licenziato dalle Ferrovie dello Stato per ordine di Mussolini. Era stato membro del CLN di Genova e trattò in quanto tale la resa dei tedeschi (ho trovato per caso in internet un raro documento con la sua foto e quella degli altri membri del CLN). Completamente estraneo alla realtà agrigentina aveva tuttavia portato nel Partito una ventata di buona cultura. Aveva una memoria prodigiosa. Ricordava tutti gli spartiacque (sic) d'Italia che si facevano imparare nelle scuole medie di un tempo e recitava lunghi brani del Cirano di Bergerac ( cos'è un bacio? Un apostrofo etcc...). Fu Commissario per quasi tre anni. Il Partito agrigentino fu ingrato e duro con lui. Non fu tra i delegati al Congresso di Venezia. La Federazione di Agrigento delegò cinque autonomisti tre nenniani e due lombardiani. Nessuno della sinistra alla quale apparteneva Azzo Toni e che tuttavia a Venezia avrebbe preso la maggioranza del Comitato Centrale mettendo Pietro Nenni in minoranza e quasi spingendolo alle dimissioni. TRa i due lombardiani uno ero io. Ero stato eletto dopo una durissima competizione sopratutto per merito della sezione giovanile di Favara capeggiata dal mio grande amico Calogero Lombardo che minacciò la Sezione di non votare Lauricella se non avessero votato anche per me. Avevo venti anni ed ero uno dei pià giovani delegati al Congresso di Venezia. Come ho già detto Azzo Toni fu del tutto ignorato.
Ho un ricordo straordinario del Congresso dominato da una fascinosa relazione di Pietro Nenni. Parlò per circa tre ore che volarono. Pietro Nenni era molto diligente e le sue relazioni erano tutte scritte. Avendo problemi di vista erano scritte a caratteri molti grossi. Altro oratore eccezionale era Riccardo Lombardi ingegnere originario di Regalbuto, antifascista, Prefetto di Milano, autore del progetto di nazionalizzazione dell'industria elettrica che avrebbe realizzato il primo governo di centro-sinistra. Lombardi parlava senza appunti ma la concatenazione logica delle sue argomentazioni era ferrea scintillante e trascinatrice. Il Congresso di Venezia aggiornava la linea del Partito dopo i fatti di Ungheria. Ci fu il primo strappo con i comunisti e si gettarono le basi dell'incontro con la DC. Nenni vinse politicamente il Congresso ma perse il controllo del Partito. La maggioranza del CC era vecchiettiana. Lauricella che era segretario della federazione non fu eletto nel CC e tornò a casa assai contrariato.
Venezia mi deprimeva. Erano giornate invernali con l'acqua della laguna scura. La città mi sembrava irreale, una specie di teatro disabitato di tanto in tanto invaso dai turisti. Era carissima. Sono eretico se dico che Venezia non mi è piaciuta?



Italia 61

Era l'opposizione alla politica di centro-sinistra del PSI che aveva conquistato la maggioranza dei militanti del Partito stanchi di stare fuori dal governo e che anelava ed in certi casi sbavava per entrare in quella che Pietro Nenni aveva definito "la stanza dei bottoni". Il gruppo era composto da me, Luigi Granata, Peppe Grado, Nino Calamo, Bino Di Betta ed altri compagni. Eravamo gli autori assieme all'Avv.to Campo della DC del primo centro-sinistra d'Italia che ritenevano giusto e di sinistra perchè lo avevamo trattato con la sinistra della dc mentre siamo insorti contro gli accordi per il primo governo di centro-sinistra regionale perchè fatto con i dorotei della DC. Quanto eravamo innocenti ! Mandammo una richiesta di essere sentiti alla Direzione del PSI. Sostenuti dall'affettuosa amicizia di Simone Gatto, luminosissima figura di socialista e di medico e accompagnati da Riccardo Lombardi fummo ricevuti in una torrida giornata di luglio io, Luigi Granata e Nino Calamo da Pietro Nenni. Eravamo emozionatissimi. Spiegammo i motivi della nostra protesta. Nenni mostrò simpatia ma ci disse che il governo siciliano era una spinta per una svolta nazionale e che se non si erano rispettate le procedure democratiche dentro il Partito è perchè non c'era stato tempo (sic)! Ci chiese se pensavamo di uscire dalla corrente autonomista. Una cosa che non ci era mai passata per la testa! Rassicurato dalla nostra risposta ci fece un bel sorriso e ci congedò. Restammo un pochino mortificati perchè ci aspettavano una conversazione più approfondita.
Tornati ad Agrigento trovammo i socialisti raccolti numerosissimi nel Teatro Pirandello attorno a Lauricella Filippo Lentini ed altri capi governativisti. Quando entrammo nel teatro a momenti ci linciavano! Volevamo guastare con le nostre fisime ideologiche la festa dell'ingresso al Governo dopo anni di penitenziale astinenza! Andavamo controcorrente e contro la storia! Fummo isolati ma nonostante questo alle elezioni provinciali piazzammo due nostri compagni su cinque. Allora le elezioni provinciali venivano fatte dai consiglieri comunali. Noi eleggemmo Bino Di Betta che era direttore dell'Esattoria a Porto Empedocle e poi a Ribera e Giuseppe Grado che dopo sarebbe diventato stimato amministratore della Provincia stessa per la sua onestà proverbiale. Non solo questo ma recuperammo anche la elezione di Fausto D'Alessandro a consigliere comunale di Agrigento a causa della elezione di Ciccio Pirrone che era risultato il terzo eletto dopo me e Luigi Granata tra nostri grandi sospetti di brogli e di appattamenti con il sindaco Di Giovanna.
Il gruppo Italia 61 in seguito subi una evoluzione. Luigi Granata assai stimato da Salvatore Lauricella cominciò la sua ascesa politica e sarebbe diventato deputato regionale e poi assessore e presidente commissione antimafia. Io sarei finito a Palermo chiamato da Ugo Minichini e Pio La Torre alla segreteria regionale della CGIL, Nino Calamo (che era stato deputato nazionale) sarebbe diventato segretario della camera del lavoro di Agrigento al posto mio.
Guadalajara

L'anno in cui io nacqui Agrigento attraversava uno dei periodi più duri della sua storia.Circolava pochissimo denaro e molta, troppa gente, soffriva la fame. Mio padre si era appena sposato e, come tanti altri, accettò l'invito del regime ad arruolarsi nel CTV (Corpo Truppe Volontarie) che operava in Spagna dalla parte del golpista generalissimo Franco ed in Africa Orientale. Assieme a mio padre si arruolarono molti agrigentini e tra questi il padre di due ragazzi che poi furono miei vicini di casa Lucia e Carmelo Villa. . Si arruolavano per avere il vitto e per mandare a casa la misera deca. Il papà di Lucia e Carmelo La moglie, la signora fofò come noi la chiamavano, dopo innumerevoli anni di attesa ne ebbe una miserrima pensioncina di guerra.
Il nome Guadalajara l'ho sentito pronunziare da mio padre nei diversi ripetuti racconti come mi fece della sua avventura spagnola. Mi diceva che era il luogo di una terribile battaglia svol
tasi nel marzo del 1937 dove si fronteggiavano italiani della Brigata Garibaldi che stavano con la Repubblica e fascisti inviati da Mussolini in numero enorme appunto sfruttando la miseria che imperversava in Italia. Mi raccontava papà ripetendo parola per parola gli appelli che con altoparlanti i compagni della Brigata Garibaldi facevano ai CTV. Purtroppo non ricordo tutto il testo dell'emozionante invito che papà mi ripeteva.. Ricordo che cominciava con le parole: fratelli italiani". L'appello spiegava le ragioni della difesa della repubblica e invitava a disertare ed ad unirsi ai combattenti per la repubblica democratica difesa dai comunisti, dai socialisti e dagli anarchici. Credo che mio padre finì con il disertare e passare dall'altra parte e che poi abbia subito un processo che lo condusse alle carceri militari di Gaeta. Ma questa parte della storia non mi è molto chiara.
Pensando alla guerra di Spagna mi viene da pensare alla guerra contro la Libia e la Siria. N iente cambia sotto la volta del cielo. il capitalismo non accetta che uno Stato possa sfuggire al suo controllo e dirigersi verso una economia di libertà. L'Europa ha nella sua fedina penale l'aggressione e la morte della Repubblica Spagnola. Poi della Jugoslavia. Ora ha aggiunto la morte della Libia e forse anche della Siria e la disgregazione della Somalia. La "democrazia" va bene soltanto se vince la destra economica e sociale. Se vince la sinistra si ricorre al golpe o all'avvelenamento dei pozzi per uccidere quello che non si vuole vedere prosperare.

Feliciano Rossitto


Feliciano Rossitto

Feliciano Rossitto era deputato comunista all'Ars quando Fernando Santi, il grande prestigioso segretario aggiunto della CGIL che guidava con saggezza l assieme ad Agostino Novella venne a proporcelo al Comitato Regionale della CGIL in sostituzione di Pio La Torre che tornava al PCI per un incarico nazionale che lo avrebbe trattenuto a Roma fino al suo fatale ritorno in Sicilia all'inizio degli anni ottanta. Era un comunista elitario con una visione illuministica della politica.Riteneva che la realtà si sarebbe potuto cambiare non solo con le lotte ed il movimento della società ma attraverso accordi tra illuminati dirigenti della politica e del potere industriale. Era amico di Rosario Nicoletti e di Nicola Capria segretari della DC e del PSI. Capria per un certo periodo di tempo vice presidente della regione. Si trovò a gestire la lotta per l'abolizione delle zone salariali e questa la fece con la CGIL nelle piazze. Fu fondatore assieme a me ed altri 15 compagni del Direttivo della CGIL nazionale del Sindacato Scuola che fino allora era una componente chiamata "quarta mozione" del sindacato nazionale scuola. PCI e PSI erano contrari a farne un sindacato della CGIL. Tristano Codignola grande intellettuale del PSI era decisamente contrario. Riuscimmo a fare approvare dal Direttivo della CGIL (contraria la segreteria nazionale Sc heda Trentin ed altri) una risoluzione che impegnava per la fondazione di un sindacato scuola che in effetti fu poi fondato e diede grandissime soddisfazioni ai compagni professori e non della scuola al movimento sindacale ed alla sinistra italiana.
Io e Feliciano Rossitto abbiamo dovuto combattere un'altra pesante battaglia dentro la CGIL per l'abolizione delle gabbie salariali. La questione delle gabbie era scoppiata nel Sud a Catania ed in Sardegna con scioperi molto forti. La CGIl riunì tutte le strutture meridionali al Maschio Angioino di Napoli dove per due giorni dibattemmo il tema. La CGIL Nazionale era contraria. Contrariissimi Rinaldo Scheda e Bruno Trentin uomini eminentissimi. Riuscimmo a metterli in minoranza ed avviare un movimento che si concluse con l'abolizione delle gabbie salariali. Certo eravamo favoriti dalla spinta ascensionale delle masse che sembrava irresistibile e anche dal PSI al governo che appoggiava apertamente questo genere di rivendicazioni catalogate sotto il titolo "modernizzazione democratica dell'Italia".
Feliciano fu anche protagonista della vicenda scaturita dai fatti di Avola. La polizia sparò ed uccise due braccianti ma l'emozione che scatenò nel paese quel terribile episodio portò alla riforma del collocamento e fece del caporalato un vero e proprio reato (Ora il caporalato è gestito dalle agenzie interinali e quello della intermediazione mafiosa della mano d'opera straniera non viene neppure rilevato!!)
Fu anche importante propagonista della ricostruzione del Belice dopo il terribile terremoto. Affluirono in Sicilia anche per merito suo aiuti da tutta Italia e specialmente dall'Emilia Rossa.
Amministrava la CGIL con la parsimonia tipica dei ragusani. Avevo bisogno di una auto e mi vendette la vecchia seicento della CGIL per 250 mila lire. Una cifra notevole per me che ne guadagnavo meno di un terzo al mese! La seicento era priva della spalliera del sedile di guida e Giuseppina per qualche tempo la guidò reggendosi con il volante da Palermo a Mezzojuso dove insegnava e dove si recava tutti i giorni a spese sue!

venerdì 24 agosto 2012

Giovanni Taibi

Giovanni Taibi

Nel PSI ci sono sempre stati tipografi, ferrovieri, maestri di scuola, contadini..... Giovanni Taibi era un artigiano tipografo. Aveva la tipografia consistente in una stanza a pianterreno di tre o quattro metri quadrati che prendeva aria e luce dalla porta in Via Porcello una strada che sovrasta via Atenea dalle parti di Porta di Ponte. La piccola rotativa era collocata al centro della stanza.
Dall'altro lato di via Atenea c'era nel 55 la Federazione Socialista che di sera veniva frequentata dai compagni.
Al ritorno da Perugia, ritorno un poco ritardato dalla mia involontaria deviazione a Caserta, riferii ai compagni sul Convegno ed anche la mia meraviglia per avere sentito dire a Rodolfo Morandi questa frase. "disponiamo noi oggi di esperienze capaci di modificare le latitudini dottrinarie del socialismo". Non capivo che cosa volesse dire con le latitudini. Perchè modificarle? Non siamo forse marxisti? Avevo 19 anni e non ero affatto disposto a mettere in discussione le cose nelle quali credevo. Ero anche molto settario ed assai chiuso ideologicamente.
Nessuno dei compagni ai quali mi rivolsi per avere lumi sulle latitudini di Morandi seppe darmi una risposta convincente. Io continuavo a chiedere. Una sera, Giovanni Taibi mi disse con fare misterioso: Pietro viene fuori che ti debbo parlare. Mi portò nel vicolo accanto e mi disse: io lo so cosa voleva dire Rodolfo Morandi.... Voleva dire che dobbiamo tornare ad essere autonomi dai comunisti... Rimasi assai turbato da questa spiegazione anche perchè a quel tempo la parola "autonomia" era parola "signaliata" molto molto criminalizzata. C'era di mezzo l'unità della classe operaia e l'idea che ci avevano inculcato secondo la quale i socialisti eravamo il reparto degli alleati alla classe operaia, il partito che raccoglieva l'artigianato i contadini etc....
Restai assai confuso.
L'anno successivo ci sarebbe stato il ventesimo Congresso del PCUS e poi il Congresso di Venezia del PSI. Io seguii la corrente autonomista del Partito fino alla sconfitta di Riccardo Lombardi. In effetti il PSI autonomo riusci a dare all'Italia una stagione di riforme di strutture. Riforme che poi sarebbero state restituite da un altra famiglia di centro-sinistra quella dei D'Alema Veltroni. Lo Statuto dei diritti dei lavoratori fu figlio della stagione 63/70 del centro.-sinistra e tante altre cose come la scuola media unificata, il divorzio, la riforma sanitaria, i diritti sindacali.
Ora sono tutte macerie avvelenate dalla grande degenerazione che hanno subito prima il PCI e poi il PSI.

giovedì 23 agosto 2012

Taratatà

Taratatà

Il Partito mi mandò a comiziare a Casteltermini non ricordo più in occasione di quali elezioni ma forse di quelle regionali siciliane del 55. Andai a Casteltermini in treno e vi giunsi mentre stava parlando nella piazza principale del Paese difronte alla Chiesa Madre l'On.le Giuseppe Montalbano del PCI ,insigne giurista e vice presidente della Ars. I compagni di Casteltermini in grandissima parte minatori lo avevano accolto con molto rispetto. Il palco dal quale parlava era stato tutto adornato di fiori. Senonchè Montalbano era afflitto da balbuzie ed inoltre leggeva il discorso che si era preparato. Un discorso importante ma noiosissimo ed adatto ad un pubblico ed una occasione diversa da quella di un comizio elettorale. Il risultato fu di insoddisfazione e di disagio. I compagni si informarono chi dovesse parlare dopo Montalbano e qualcuno mi indicò a loro. Avevo l'aspetto di un giovane assai magro e sembrai a loro bisognoso di essere rimesso in forze subito, prima del comizio. Nonostante le mie proteste due di loro mi condussero in una osteria ed ordinarono per me una grossa bistecca al sangue ed un bicchiere di vino rosso. Protestai ma non sentirono ragioni. Mi fecero mangiare e bere tutto. Divenni un pochino brillo non essendo abituato a bere. Poi mi riaccompagnarono sotto il palco dal quale Montalbano continuava a parlare e mi dissero. Quando parli guai a te se "chicchii" (balbetti) come questo e guai a te se leggi. Salii sul palco con la testa leggera. Non ricordo assolutamente nulla di quello che dissi. Però percepii un crescente consenso ed applausi che si scatenavano uno dietro l'altro. Per fortuna non mi scappò di dire niente di compromettente perchè in piazza c'era il maresciallo che ascoltava il comizio per farne poi relazione scritta (facevano così allora). Insomma il comizio fu un successo ed io che ero signor nessuno avevo rincuorato i compagni comunisti e socialisti castelterminesi delusi da uno dei più importanti dirigenti della sinistra siciliana. Era uno dei giorni della Festa del Taratatà e ricordo la enorme folla che dal portone della Chiesa si era rovesciata in piazza accanto a quella che c'era per i comizi. Dopo il comizio abbiamo improvvisato un corteo e siamo andato in Sezione (penso fosse quella comunista) dove io, socialista, continuai ad essere elogiato. La sera ritornai ad Agrigento sempre in treno.

mercoledì 22 agosto 2012

Il metanodotto Algeria-Italia

Metanodotto Italia-Algeria

Oggi sono un modesto pensionato dell'Inps in ansia per le tasse e per le bollette che decurtano il piccolo assegno con il quale vivo eppure sono stato uno dei creatori del metanodotto che da trent'anni rifornisce l'Italia di gas proveniente dall'Algeria e che per un lungo periodo di tempo ha assicurato la pace nel Mediterraneo e la prosperità e la sicurezza energetica del nostro Paese e della stessa Algeria.
Facevo parte del Consiglio di Amministrazione dell'Ente Minerario Siciliano presieduto prima dall'Ing.Sarti dell'Eni e poi da Graziano Verzotto un geniale uomo politico dc ed imprenditore pubblico che aveva in testa un programma serio di industrializzazione della Sicilia forse l'unico programma non colonialista che la Sicilia abbia mai avuto. La Sicilia è stata colonizzata da industrie inquinanti. Abbiamo subito la devastante presenza dell'Eni a Gela e della Montedison a Siracusa e delle raffinerie che hanno fatto crepare di cancro migliaia di persone nel silenzio dei siciliani simile a quello dei tarantini di oggi che vogliono l'ILVA anche così com'è.
Il prof.Rocca e Paolino Angrisani membri del consiglio di amministrazione dell'Ems presentarono a Verzotto un progetto di metanodotto Algeria-Italia basato sullo attraverso sottomarino dello Stretto di Sicilia, una idea allora di rara audacia perchè mai nel mondo si era tentato una impresa del genere.
L'Eni infatti proponeva il sistema dei gasificatori e degasificatori collocati in Africa ed in Sicilia ed una flotta di navi metaniere che avrebbero trasportato il gas reso liquido.
Contro la volontà dei "poteri forti" contattammo la Sonatrack che era la corrispondente dell'Eni per la l'Algeria. Ricordo con commozione la visita dei dirigenti della Sonatrack all'Ente Minerario Siciliano. Erano dei ragazzi poco più che ventenni che avevano in mano una risorsa fondamentale come il metano. Facemmo accordi con la Sonatrack e fondammo assieme a loro una società che si chiamò Sonems e che presiedette a tutta l'operazione che ci accingevano a fare.
Per 500 milioni di lire di allora (una somma enorme negli anni sessanta) incaricammo la Bectel società specializzata nella posa di tubi nelle profondità del mare di prepararci un progetto di fattibilità. Progetto che fu fatto in sei mesi con risultati estremamente incoraggianti e positivi. L'Eni ci voleva comprare il progetto per 5 miliardi di lire ma noi tenemmo duro.
Lascio immaginare lo stress che subimmo da quel momento in poi. Credo che i servizi segreti e le compagnie petrolifere del mondo si fossero tutti mobilitati per farci la radiografia ed esplorare profondamente la personalità e la vita di ognuno dei folli consiglieri dell'Ems che avevano usato sfidare i potenti.
Il metanodotto fu fatto. Verzotto pagò con una denunzia basata sul fatto che aveva depositato dieci miliardi di lire dell'Ems nella Banca Privata. Un versamento sollecitato dalla segreteria amministrativa della DC a tutti i presidente DC degli enti economici italiani. Ma Verzotto fu costretto a scappare in Libano per non finire in prigione.
Quando si inaugurò il metanodotto a Mazara del Vallo non era prevista la presenza del Presidente dell'Ems al tavolo della presidenza. Solo managers dell'Eni! Paolino Angrisani ebbe guai grossi e per anni non fece altro che andare e venire dai tribunali. Il prof.Rocca è morto a Roma di crepacuore. Io sono stato risparmiato probabilmente perchè ritenuto un pesciolino troppo piccolo e troppo poco importante. Eppure senza l'apporto della CGIL che io rappresentavo nell'EMS difficilmente si sarebbe potuto andare avanti controcorrente.
Nei verbali della Sonems che conservo c'è lo schema di tracciato del metanodotto disegnato così come è stato poi realizzato dieci anni dopo.
La Sicilia non ha da allora mai più avuto un programma serio di sviluppo economico.

martedì 21 agosto 2012

Italia 61 Incontro con Pietro Nenni

Italia 61.
Era l'opposizione alla politica di centro-sinistra del PSI che aveva conquistato la maggioranza dei militanti del Partito stanchi di stare fuori dal governo e che anelava ed in certi casi sbavava per entrare in quella che Pietro Nenni aveva definito "la stanza dei bottoni". Il gruppo era composto da me, Luigi Granata, Peppe Grado, Nino Calamo, Bino Di Betta ed altri compagni. Eravamo gli autori assieme all'Avv.to Campo della DC del primo centro-sinistra d'Italia che ritenevano giusto e di sinistra perchè lo avevamo trattato con la sinistra della dc mentre siamo insorti contro gli accordi per il primo governo di centro-sinistra regionale perchè fatto con i dorotei della DC. Quanto eravamo innocenti ! Mandammo una richiesta di essere sentiti alla Direzione del PSI. Sostenuti dall'affettuosa amicizia di Simone Gatto, luminosissima figura di socialista e di medico e accompagnati da Riccardo Lombardi fummo ricevuti in una torrida giornata di luglio io, Luigi Granata e Nino Calamo da Pietro Nenni. Eravamo emozionatissimi. Spiegammo i motivi della nostra protesta. Nenni mostrò simpatia ma ci disse che il governo siciliano era una spinta per una svolta nazionale e che se non si erano rispettate le procedure democratiche dentro il Partito è perchè non c'era stato tempo (sic)! Ci chiese se pensavamo di uscire dalla corrente autonomista. Una cosa che non ci era mai passata per la testa! Rassicurato dalla nostra risposta ci fece un bel sorriso e ci congedò. Restammo un pochino mortificati perchè ci aspettavano una conversazione più approfondita.
Tornati ad Agrigento trovammo i socialisti raccolti numerosissimi nel Teatro Pirandello attorno a Lauricella Filippo Lentini ed altri capi governativisti. Quando entrammo nel teatro a momenti ci linciavano! Volevamo guastare con le nostre fisime ideologiche la festa dell'ingresso al Governo dopo anni di penitenziale astinenza! Andavamo controcorrente e contro la storia! Fummo isolati ma nonostante questo alle elezioni provinciali piazzammo due nostri compagni su cinque. Allora le elezioni provinciali venivano fatte dai consiglieri comunali. Noi eleggemmo Bino Di Betta che era direttore dell'Esattoria a Porto Empedocle e poi a Ribera e Giuseppe Grado che dopo sarebbe diventato stimato amministratore della Provincia stessa per la sua onestà proverbiale. Non solo questo ma recuperammo anche la elezione di Fausto D'Alessandro a consigliere comunale di Agrigento a causa della elezione di Ciccio Pirrone che era risultato il terzo eletto dopo me e Luigi Granata tra nostri grandi sospetti di brogli e di appattamenti con il sindaco Di Giovanna.
Il gruppo Italia 61 in seguito subi una evoluzione. Luigi Granata assai stimato da Salvatore Lauricella cominciò la sua ascesa politica e sarebbe diventato deputato regionale e poi assessore e presidente commissione antimafia. Io sarei finito a Palermo chiamato da Ugo Minichini e Pio La Torre alla segreteria regionale della CGIL, Nino Calamo (che era stato deputato nazionale) sarebbe diventato segretario della camera del lavoro di Agrigento al posto mio.

lunedì 20 agosto 2012

azzo toni

Azzo Toni

Nel 1953 la Direzione del PSI commissariò la Federazione di Agrigento. . Persona di spicco del partito agrigentino era l'On.le Giosuè Fiorentino di Palma di Montechiaro che era stato sottosegretario di Stato nel governo De Gasperi. Fiorentino era stato accusato da Michele Pantaleone di accettare voti dalla mafia. Cosa che successivamente fu smentita dallo stesso Pantaleone che chiese scusa ma che tuttavia aveva allarmato la Direzione. Salvatore Lauricella e Filippo Lentini non erano ancora importanti come sarebbero diventati dopo.
Azzo Toni era un vigoroso settantenne elegantemente vestito e pettinato con una scrima che tagliava in due i capelli argentei. Era un fiero antifascista licenziato dalle Ferrovie dello Stato per ordine di Mussolini. Era stato membro del CLN di Genova e trattò in quanto tale la resa dei tedeschi (ho trovato per caso in internet un raro documento con la sua foto e quella degli altri membri del CLN). Completamente estraneo alla realtà agrigentina aveva tuttavia portato nel Partito una ventata di buona cultura. Aveva una memoria prodigiosa. Ricordava tutti gli spartiacque (sic) d'Italia che si facevano imparare nelle scuole medie di un tempo e recitava lunghi brani del Cirano di Bergerac ( cos'è un bacio? Un apostrofo etcc...). Fu Commissario per quasi tre anni. Il Partito agrigentino fu ingrato e duro con lui. Non fu tra i delegati al Congresso di Venezia. La Federazione di Agrigento delegò cinque autonomisti tre nenniani e due lombardiani. Nessuno della sinistra alla quale apparteneva Azzo Toni e che tuttavia a Venezia avrebbe preso la maggioranza del Comitato Centrale mettendo Pietro Nenni in minoranza e quasi spingendolo alle dimissioni. TRa i due lombardiani uno ero io. Ero stato eletto dopo una durissima competizione sopratutto per merito della sezione giovanile di Favara capeggiata dal mio grande amico Calogero Lombardo che minacciò la Sezione di non votare Lauricella se non avessero votato anche per me. Avevo venti anni ed ero uno dei pià giovani delegati al Congresso di Venezia. Come ho già detto Azzo Toni fu del tutto ignorato.
Ho un ricordo straordinario del Congresso dominato da una fascinosa relazione di Pietro Nenni. Parlò per circa tre ore che volarono. Pietro Nenni era molto diligente e le sue relazioni erano tutte scritte. Avendo problemi di vista erano scritte a caratteri molti grossi. Altro oratore eccezionale era Riccardo Lombardi ingegnere originario di Regalbuto, antifascista, Prefetto di Milano, autore del progetto di nazionalizzazione dell'industria elettrica che avrebbe realizzato il primo governo di centro-sinistra. Lombardi parlava senza appunti ma la concatenazione logica delle sue argomentazioni era ferrea scintillante e trascinatrice. Il Congresso di Venezia aggiornava la linea del Partito dopo i fatti di Ungheria. Ci fu il primo strappo con i comunisti e si gettarono le basi dell'incontro con la DC. Nenni vinse politicamente il Congresso ma perse il controllo del Partito. La maggioranza del CC era vecchiettiana. Lauricella che era segretario della federazione non fu eletto nel CC e tornò a casa assai contrariato.
Venezia mi deprimeva. Erano giornate invernali con l'acqua della laguna scura. La città mi sembrava irreale, una specie di teatro disabitato di tanto in tanto invaso dai turisti. Era carissima. Sono eretico se dico che Venezia non mi è piaciuta?



a

domenica 19 agosto 2012

guadalajara

Guadalajara

L'anno in cui io nacqui Agrigento attraversava uno dei periodi più duri della sua storia.Circolava pochissimo denaro e molta, troppa gente, soffriva la fame. Mio padre si era appena sposato e, come tanti altri, accettò l'invito del regime ad arruolarsi nel CTV (Corpo Truppe Volontarie) che operava in Spagna dalla parte del golpista generalissimo Franco ed in Africa Orientale. Assieme a mio padre si arruolarono molti agrigentini e tra questi il padre di due ragazzi che poi furono miei vicini di casa Lucia e Carmelo Villa. . Si arruolavano per avere il vitto e per mandare a casa la misera deca. Il papà di Lucia e Carmelo La moglie, la signora fofò come noi la chiamavano, dopo innumerevoli anni di attesa ne ebbe una miserrima pensioncina di guerra.
Il nome Guadalajara l'ho sentito
pronunziare da mio padre nei diversi ripetuti racconti come mi fece della sua avventura spagnola. Mi diceva che era il luogo di una terribile battaglia svoltasi nel marzo del 1937 dove si fronteggiavano italiani della Brigata Garibaldi che stavano con la Repubblica e fascisti inviati da Mussolini in numero enorme appunto sfruttando la miseria che imperversava in Italia. Mi raccontava papà ripetendo parola per parola gli appelli che con altoparlanti i compagni della Brigata Garibaldi facevano ai CTV. Purtroppo non ricordo tutto il testo dell'emozionante invito che papà mi ripeteva.. Ricordo che cominciava con le parole: fratelli italiani". L'appello spiegava le ragioni della difesa della repubblica e invitava a disertare ed ad unirsi ai combattenti per la repubblica democratica difesa dai comunisti, dai socialisti e dagli anarchici. Credo che mio padre finì con il disertare e passare dall'altra parte e che poi abbia subito un processo che lo condusse alle carceri militari di Gaeta. Ma questa parte della storia non mi è molto chiara.
Pensando alla guerra di Spagna mi viene da pensare alla guerra contro la Libia e la Siria. N iente cambia sotto la volta del cielo. il capitalismo non accetta che uno Stato possa sfuggire al suo controllo e dirigersi verso una economia di libertà. L'Europa ha nella sua fedina penale l'aggressione e la morte della Repubblica Spagnola. Poi della Jugoslavia. Ora ha aggiunto la morte della Libia e forse anche della Siria e la disgregazione della Somalia. La "democrazia" va bene soltanto se vince la destra economica e sociale. Se vince la sinistra si ricorre al golpe o all'avvelenamento dei pozzi per uccidere quello che non si vuole vedere prosperare

Il maresciallo della milizia

All'inizio della scalinata di Via Re, sulla sinistra abitava un Maresciallo della Milizia con la moglie, la cognata e Giuseppina figlia della cognata. Quando la milizia fu sciolta precipitò da una condizione di relativa agiatezza, agiatezza almeno rispetto gli abitanti della scalinata ad una di gravissima difficoltà economica. Ricordo come Giuseppina fosse dimagrita per scarsezza di cibo.
Il maresciallo subì con dignità e rassegnazione la sua nuova condizione. In qualche modo si ingegnò a sopravvivere. La madre di Giuseppina era una persona gentile e Giuseppina era una gran brava ragazzina. Gli abitanti della strada non infierirono sulla caduta negli inferi del maresciallo il quale non aveva mai fatto del male a nessuno e si limitava a portare in giro la sua lugubre divisa.

sabato 18 agosto 2012

U babbaluciaru

U babbaluciaru
Il gruppo è una zona dedicata ai ricordi, ai sentimenti, alla sicilia che c'era e non c'è più a tante persone che abbia
mo incontrato e sono state buone con noi e ci hanno aiutato magari facendoci credere in noi stessi alla storia ed alla cultura della Sicilia e di tutto quello che abbiamo visto ed imparato ed amato in Italia.
U babbaluciari è la zona di San leone in cui sfocia il fiume Akragas ricchissima di babbaluci. Il fiume una volta era pieno di anguille di una qualità buonissima. Mio zio Diego andava a pescarle.

Memoria non vuol dire rimpianto. Sto molto meglio adesso dai tempi che ricordo. Non vorrei tornare indietro ed il ricordo ha per me il valore di un riordino dei miei sentimenti e di cose che mi porto dietro da tutta la vita.


La ricotta alle sei del mattino

Ero un bambino di otto o nove anni quando la mattina prestissimo andavo a comprare la ricotta con la quale facevo colazione. Mia madre mi dava una gavetta e venti o trenta lire al massimo ed io andavo non molto lontano da casa nel luogo dove la ricotta veniva creata tutte le mattine. Il pastore che la produceva era un omone di carnagione scura piuttosto obeso che attendeva al suo compito con grandissima serietà quasi fosse un rito. In un gran pentolone metteva il latte ed il caglio e si aspettava che si compisse il miracolo. Tutti i bambini come me aspettavano attorno al grande pentolone che affiorasse dall'acqua lattiginosa che sarebbe diventata siero lo strato di morbida e bianchissima ricotta Questo miracolo avveniva puntualmente tutte le mattine ma lo attendevamo senza la certezza che accadesse e quindi con una certa quale trepidazione. Ad un certo punto nel silenzio generale dal fondo del pentolone circondato dalle teste dei bambini intenti cominciavano a vedersi delle lucette, dei fiocchi bianchi, come di una nevicata che accadesse in un cielo capovolto, come se la neve ascendesse dal basso e non dal cielo. Era uno spettacolo sempre nuovo e sempre bellissimo che durava un paio di minuti. Quando la ricotta era tutta affiorata il pecoraio ci riempiva le gavette (ce n'erano tante in giro allora) o i contenitori di siero e ci dava quanta ricotta chiedevamo. Aveva cucchiaioni di diversa grandezza: da cinque lire, da dieci, da venti. Si aggiungeva al siero che non pagavamo la ricotta richiesta. Giunto a casa mia madre mi dava un grosso pezzo di pane che rompevo nel siero e nella ricotta e mangiavo tutto. La ricotta era sempre buonissima e sapeva anche delle buone e ricche erbe dove il pecoraio pascolava le sue generose capre o pecore..

Beppe Grado

Quando arrivai alla Camera del Lavoro di Agrigento vi trovai un altro socialista: si chiamava Beppe Grado e sarebbe diventato una persona assai importante per me. Avremmo condiviso le battaglie dei lavoratori ma anche quelle dentro il Partito essendo entrambi autonomisti lombardiani in pratica della sinistra del Partito non vecchettiana. Beppe Grado fu il mio educatore. Il suo principio basilare era: diritti e doveri. I lavoratori hanno diritti ma hanno il dovere di essere coscienziosi attenti e debbono fare quanto loro stessi sanno di dover fare. Era un riformista vero ma non nel senso che si da oggi al termine che è aberrante. Il suo riformismo era la crescita di diritti e di potere dei lavoratori con il metodo non violento della contrattazione e della accumulazione di sapere e di esperienza. I lavoratori si debbono guadagnare il loro salario e debbono migliorare sempre se stessi. Beppe Grado era una forza della natura. Era un uomo scuro di carnagione massiccio forte. Aveva folte sopracciglia nerissime e la testa assai stempiata. Una volta, durante il terribile sciopero dei lavoratori della Montecatini di Porto Empedocle,mi sono trovato in difficoltà. Ero circondato da poliziotti capeggiati da un commissario che evidentemente aveva in progetto di arrestarmi. Beppe Grado superò la barriera dei poliziotti e si venne a mettere tra me ed il Commissario che quasi mi infilzava le dita negli occhi. Riuscì a farmi uscire indenne e libero dalla stretta in cui ero. Con lui che era consegretario dei braccianti (i socialisti non potevamo che essere soltanto consegretari e difficilmente o mai segretari) organizzammo la marcia Palma di Montechiaro-Agrigento dei braccianti contro l'abolizione della presuntività delle giornate lavorative negli elenchi anagrafici,. Si unirono a noi due eminenti personalità della DC gli onorevoli Rubino e Trincanato persone che ricordo sempre con stima perchè erano davvero dalla parte della giustizia sociale. Beppe Grado era di San Biagio Platani, un paesino distante alcuni chilometri da Casteltermini che a me sembrava tetro. Una sera dopo un giro di riunioni abbiamo fatto tardi e siamo finiti a casa sua. Non dimenticherò mai quanto ho gradito la frittata di patate ed uova che ci preparò la moglie di Beppe. C'era il buon odore delle patate fritte e delle uova prese fresche fresche nel retro della casa. Una frittata di patate ed uova era un pasto sostanzioso che non potevamo permetterci tutti i giorni.

Gildo Moncada

Negli anni del dopoguerra venne ad abitare ad Agrigento proveniente da una città del Nord la famiglia Moncada. Eravamo vicini di casa. Il personaggio più importante della famiglia era Gildo che era stato partigiano e comunista. Era mutilato di una gamba e usava una protesi. Era una persona piccola di statura, con i capelli ricci su una faccia dominata da due grandi occhioni con folte sopracciglia. Parlava in italiano scandendo bene le parole e aggrottando la fronte quando la risposta o quello che doveva dire lo impegnava. Era una persona serissima. Io ero molto attratto da Gildo che per me era un eroe che avevano combattuto gli odiati tedeschi. Il fatto che fosse comunista era da me percepito come l'appartenenza ad un qualcosa di autorevole, forte. Anche mio padre era comunista ma i fratelli Peluso da Caltagirone che avevano un magazzino di ceramiche dentro il Municipio vecchio lo indottrinavano all'anarchia Cosa per la quale io ero inquieto. .Erano anarchici e questo era per me qualcosa che andava molto oltre l'essere comunisti. Quando si univano a discutere con mio padre avevo l'impressione che cospirassero e che presto sarebbero arrivate le guardie ad arrestarli tutti. E questo un pochino mi spaventava.

L'usuraio

Avevo otto o nove anni Il mio povero papà venne a trovarsi in gravi difficoltà. Manteneva una famiglia numerosa. Io ero il più grande dei figli ma allora avevo soltanto dieci anni. Non sapendo più che fare si rivolse ad un signore che faceva notoriamente l'usuraio. Era questi un ometto agghindato con panciotto e bastone da passeggio. Aveva baffetti impomatati ed occhi grifagni, acutissimi, che sembrava volessero penetrarti. Mio padre aveva bisogno di 50 mila lire. Il signor S., l'usuraio, gliene diede in effetti 35 mila dicendo che alla scadenza mio padre avrebbe dovuto consegnarli 50 mila lire. Ricordo che quando mio papà tornò a casa con i soldi sembrava stravolto. Non riusciva a capacitarsi perchè non gliene fossero stati dati 50 mila come aveva chiesti per restituirne magari 65 mila! Ricordo che passò la notte insonne a tormentarsi, ad andare da una punta all'altra del catoio che abitavamo. Credo che le difficoltà di mio padre nascessero da tasse che avrebbe dovuto pagare da quando aveva una rivendita fissa di generi alimentari e di frutta e verdura. Dal maledetto giorno in cui mio padre ebbe i soldi dall'usuraio passarono due terribili anni per la restituzione del debito che intanto si era moltiplicato. L'usuraio viveva agiatamente succhiando il sangue a persone che avevano la sfortuna di dovere ricorrere a lui. Aveva tante proprietà. Ma era un tristo individuo solo schifiato da tutti.


Il meraviglioso vecchio di Naro con la lunga barba bianca!

Al ritorno dal servizio militare nell'aprile del 59 del millennio scorso
Filippo Lentini mi convocò in Federazione proponendomi-ordinandomi di andare
a lavorare alla Camera del Lavoro di Agrigento. Senza aspettare il mio
consenso aveva inviato una lettera a Santo Tortorici che ne era segretario
generale. A me sembrava naturale riprendere la carica di segretario provinciale dei
giovani socialisti che ricoprivo prima di partire per il sevizio militare, mi sembrava una grossa ingiustizia e provai a ribellarmi nei limiti della disciplina interna del partito di allora. Ma il Partito fu irremovibile e
fu così che diventai sindacalista a tempo pieno. Alla CGIL conoscevo già
tutti perché da ragazzo avevo fatto i picchetti con gli edili a Porta
di Ponte. Ricordo che mi alzavo la mattina alle quattro per andarvi a
distribuire tra gli operai i volantini del sindacato o del Partito.
Mi assegnarono subito ai pensionati. Io ero sconcertato! Ero un ragazzino!
Allora i pensionati non avevano il minimo che poi fu introdotto e fissato in
12 mila lire mensili e la stragrande maggioranza degli anziani che io
conoscevo erano senza pensione. Per questi mi misi a lavorare assieme
all'On.le Domenico Cuffaro che propagandava un suo disegno di legge per
l'assegno minimo regionale ai vecchi senza pensione. Una cosa di grandissima
valenza umanitaria che affrancò molti vecchi malandati dal chiedere
l'elemosina davanti le chiese.
Alla Camera del Lavoro dove conobbi il grande amico della mia vita Giuseppe
Grado che mi fu maestro e secondo padre mi presentarono al comitato
direttivo dei pensionati dove all'unanimità mi accolsero come segretario
generale della categoria.
La mia prima visita in provincia fu a Naro. La lega dei pensionati era un
locale scuro enorme pieno pieno di centinaia di persone. Fui accolto
all'ingresso da un vecchio compagno dalla lunghissima barba bianca che tra
gli applausi di tutti mi condusse al tavolo da dove avrei dovuto fare la mia
relazione.- Ero emozionatissimo ed affetto da una balbuzie di natura nervosa
che riuscii a sconfiggere nel tempo e che intanto fronteggiavo sostituendo
le parole che mi era difficile pronunziare con altre. La visita fu un
successo! Quelle persone anziane capivano che io non sapevo niente dei loro
problemi ma sentivano in me la voglia di fare di tutto per aiutarli. Così
feci per loro e per tanti altri anziani. Riuscimmo con il grande Domenico
Cuffaro che merita di essere ricordato come comunista umanista e benefattore
a fare approvare la legge all'Ars. Poco dopo veniva approvata la pensione
sociale a livello nazionale.


I Mazzarella

Non so ora ma una volta ogni paese aveva una famiglia più o meno grande di macellai. Agrigento aveva la famiglia Mazzarella. I tre o quattro macellai di Agrigento scannavano in comune una vacca e un maiale se lo distribuivano e provvedevano alla rivendita. Tutto il consumo settimanale della città che se lo poteva permettere non andava oltre. La macellazione avveniva di venerdì nel Macello dell'Addolorata. Lo stesso giorno di venerdì si metteva in vendita u sancunazzi (sanguinaccio). U sancunazzu veniva preparato con le stesse budella dell'animale. Ancora caldissimo, io ne compravo per quanto mi dava mio padre ( venti lire, massimo cinquanta lire). Era tanto caldo che me lo passavo da una mano all'altra per non scottarmi. Era una prelibatezza!
Un ramo povero della famiglia Mazzarella abi
tava a Piano Re. Una famiglia con molti ragazzi credo cinque se mal non ricordo. Il venerdì i ragazzi aspettava il padre di ritorno dal Macello allo inizio della scalinata di Via Re e lo aiutavano a portare un pesante pentolone pieno di interiora. Il Mazzarella povero aiutava la macellazione dell'animale e ne aveva in compenso le interiora. Arrivato in casa il pentolone di "quadume" veniva ripulito a dovere dalla severa signora Mazzarella e dalle figlie e cucinato a dovere. Mazzarella padre si collocava con esso all'ingresso del Vecchio Municipio dentro il quale in un cortile c'era una vecchia e buia putia di vino dove si beveva il forte vino gessato del Cannateddru in bicchieri rigati da un quarto di litro. I bevitori si fermavano a comprare da Mazzarella-padre un pò di quadumi e poi lo accompagnavano con il vino dentro la putia.
Nel dopoguerra, mentre tutti i bambini del quartiere San Giacomo eravamo magrolini, palliducci e con le alucce sporgenti dalla schiena, le ragasse Mazzarella erano floride, rosee e scoppiavano di salute. A differenza di noi che difficilmente avevamo qualche proteina a pranzo si nutrivano dell'abbondante quadumi guadagnato dal padre.
In seguito una delle ragazze andò sposa ad un vicino di casa che noi chiamavano l'ingignireddru (era geometra) ed il figlio maschio si impiegò all'ESA e cambiò completamente la sua vita come voi potete ben pensare. Gli stipendi dell'ESA sono sempre stati generosi!


Il padre di Fausto D'Alessandro

era Direttore del Consorzio Antitubercolare di Agrigento una organizzazione sanitaria preposta a fronteggiare il grave fenomeno sociale della tubercolosi. A volte accompagnavo Fausto a trovare il padre e mi capitava di vedere nelle sale del Consorzio diecine di giovani in gran parte provenienti dalla provincia. Apparentemente sembrano sani, ragazzi alti e di forte struttura, ma a guardarli bene si capiva che non stavano bene. Molti avevano un rossore innaturale ai pomelli della faccia scavata. La tubercolosi era provocata dalla fame, da prolungati periodi di denutrizione, dall'assenza di proteine nell'alimentazione e negli alloggi malsani, spesso catoi senza sole e con i muri anneriti dalla umidità. Il dr.D'Alessandro si occupava dei suoi malati usando qua nto era nelle conoscenze e nelle possibilità della medicina. Era una persona straordinaria che viveva intensamente la sua missione sociale di medico. Molti malati avevano i polmoni scavati da ampie caverne di tisi, altri venivano attaccati alle ossa. Soltanto la penicillina che all'inizio chi poteva si faceva mandare dagli USA ed il miglioramento delle condizioni ambientali e di nutrimento avrebbero debellato la tisi.La TBC durò molti anni e mieteva la nostra gioventù. Era straziante vedere i segni terribili della TBC nelle ragazze. Ragazze che si sentivano condannate ed avevano perso ogni speranza. Ora molto triste incontrare i malati e leggere lo spavento nei loro occhi. Qualcuno a volte era accompagnato dalla madre. Eravamo al fondo di un abisso di miseria, un fondo in cui quei giovani sfortunati sarebbe rimasti incastrati.


Le azzaruole

Ci stiamo impoverendo biologicamente. Le varietà diminuiscono. Ricordo le azzaruole un bellissimo frutto asprigno, le zorbe che si facevano maturare a grappoli, le mele cotogne per la marmellata e profumare i cassetti della biancheria, le tante varietà di mele, mele di montagna che crescono sulle Madonie a 1500 metri di altezza con la faccia mezza bianca e mezza rosa bella accesa, le tantissime varietà di uva, le belle spighe di frumento di grano duro, i gelsi bianchi e quelli rossi.......I prodotti locali non hanno più mercato e comperiamo roba che viene da lontano
Pietro Ancona
‎"La Scopa" era un giornale scritto stampato distribuito dallo stesso avvocato Salvatore Malogioglio che agitava le solite questioni cittadine dell'acqua, della pulizia urbana, delle tasse, del funzionamento del Comune. L'avvocato in persona, un tipo dinoccolato con una faccia furba e quasi sempre incazzata, provvedeva a venderlo ad una lira la copia cioè a darlo gratis. Debbo dire che non ho mai avuto simpatia per lui o per i suoi comizi che spopolavano la città e facevano il pieno assoluto in Piazza Municipio. Provavo un senso di disagio e mi pareva tutta una manipolazione fatta da lui che a volte si faceva assistere da un giovane avvocato diventato popolarissimo ed anche da un somaro che veniva accolto nel palco dal quale intratteneva gli agrigentini con le sue scontate filippiche
non si sa bene contro chi.Aveva creato nel pubblico una aspettativa di risata, di comicità, per cui prima ancora che finisse la battuta già la gente rideva. Onestamente non penso che fosse divertente e comico. Non condivido il suo "popolo bue, popolo cornuto!"
C'era anche chi sussurrava malignamente che mentre concionava sull'acqua che mancava da quindici giorni i serbatoi della sua villa nella collina sovrastante il carcere di san vito fossero stracolmi del prezioso liquido.
La città che si sollazzava alle battute dell'avvocato finiva con il votare regolarmente le persone che alla fine erano responsabili di quanto non andava e che in fondo non va tuttora. La risata corale ( 'a scaccaniata) suscitata da Malogioglio non seppelliva ma assolveva i responsabili. Tutto era ridotto ad una piagnucolosa farsa di Tersite
che si lamenta ma senza fare troppo danno o troppo male agli obiettivi dei suoi strali polemici.
Diciamo che era uno sfogatoio ben accetto al "potere" al quale non faceva neppure il solletico.


2,13 e 20


erano i numeri delle candidature mia di Fausto d'Alessandro e di Luigi
Granata alle amministrative di Agrigento. Fummo eletti tutti e tre merito
della granitica amicizia che ci legava e per la quale gli elettori furono
spinti a non dare un voto che non fosse per tutti e tre.
Grande parte dell'elettorato che mi veniva da mio padre e dai vecchi senza
pensione che io assistevo erano analfabeti. Ci voleva qualcosa che li
aiutasse a votarci. Ci rivolgemmo ad un compagno palermitano, il professore
Marchese che poi fu anche Direttore dello istituto dei SordoMuti di Palermo.
Il professore fece fare da un artigiano palermitano trecento quadrati di
alluminio con il segno dei tre numeri. Bastava infilarci dentro la matita ed
oplà gli analfabeti scrivevano tre bellissime preferenze!
Fummo eletti tutti e tre sbaragliando la concorrenza. Sconfiggemmo il buon
Prof. Antonino Bosco, Direttore didattico, vice sindaco uscente e l'altro
consigliere comunale uscente, un socialista impiegato dell'Inps di Agrigento
che meritava davvero di fare il consigliere perchè seguiva i problemi della
citta e delle persone assai meglio di quanto poi ho fatto io. Purtroppo non
ricordo dopo tanto tempo il cognome ma ne ricordo perfettamente le fattezze
come se l'avessi visto ieri.
Naturalmente la DC ebbe la maggioranza assoluta (come sempre). Il sindaco
Vincenzo Foti tuttora vivente e membro di questa comunità voleva che
facessimo il centro-sinistra. Ma eravamo troppo orgogliosi per farlo per la
enorme sproporzione di forze con la DC. Abbiamo preferito investire
nell'opposizione e da li fare crescere il Partito. Volevamo creare una
cultura socialista ad Agrigento ma non ci riuscimmo. Agrigento ha un
profondo substrato clericale. Una cultura diversa potrebbe crescere alla
condizione che la popolazione sia autonoma. Ma questa autonomia non esiste.
Ricordo di un impiegato della Provincia che lavò i piatti per molti anni al
suo capoufficio nella speranza di ottenere il posto per il figlio. Per
quanto ne so in questi cinquanta anni nulla è cambiato. Tutto è rimasto
immobile! Oggi le condizioni sono addirittura peggiori di quelle di allora
per il semplice motivo che allora si stava male ma c'era la speranza del
cambiamento. Ora si sta male e c'è la prospettiva di un peggioramento.
Agrigento ha avuto tantissimi uomini di governo e della politica nazionale.
Ma è come se appartenessero ad una sfera diversa che li separa dalla città e
dalla sua popolazione la quale si limita a votarli ad applaudirli. La
presenza di Bossi a Milano incide e muove la realtà. La presenza di Alfano o
di La Loggia ad Agrigento è come se non ci fosse. Niente si muove perchè non
c'è nessun motore di cambiamento e le cose vanno peggio di come sono sempre
andate.


La Scopa
"La Scopa" era un giornale scritto stampato distribuito dallo stesso avvocato Salvatore Malogioglio che agitava le solite questioni cittadine dell'acqua, della pulizia urbana, delle tasse, del funzionamento del Comune. L'avvocato in persona, un tipo dinoccolato con una faccia furba e quasi sempre incazzata, provvedeva a venderlo ad una lira la copia cioè a darlo gratis. Debbo dire che non ho mai avuto simpatia per lui o per i suoi comizi che spopolavano la città e facevano il pieno assoluto in Piazza Municipio. Provavo un senso di disagio e mi pareva tutta una manipolazione fatta da lui che a volte si faceva assistere da un giovane avvocato diventato popolarissimo ed anche da un somaro che veniva accolto nel palco dal quale intratteneva gli agrigentini con le sue scontate filippiche non si sa bene contro chi.Aveva creato nel pubblico una aspettativa di risata, di comicità, per cui prima ancora che finisse la battuta già la gente rideva. Onestamente non penso che fosse divertente e comico. Non condivido il suo "popolo bue, popolo cornuto!" C'era anche chi sussurrava malignamente che mentre concionava sull'acqua che mancava da quindici giorni i serbatoi della sua villa nella collina sovrastante il carcere di san vito fossero stracolmi del prezioso liquido. La città che si sollazzava alle battute dell'avvocato finiva con il votare regolarmente le persone che alla fine erano responsabili di quanto non andava e che in fondo non va tuttora. La risata corale ( 'a scaccaniata) suscitata da Malogioglio non seppelliva ma assolveva i responsabili. Tutto era ridotto ad una piagnucolosa farsa di Tersite che si lamenta ma senza fare troppo danno o troppo male agli obiettivi dei suoi strali polemici. Diciamo che era uno sfogatoio ben accetto al "potere" al quale non faceva neppure il solletico.


Il negozio Altieri e la Federazione del PCI


Nello stesso corpo dell'Albergo Gellia era il negozio Altieri un negozio di Must, di qualità ,nel quale si andava quando si doveva prendere qualcosa di buono. Ricordo che Giuseppina vi comprò il rasoio elettrico che mi regalò.
La Federazione del PCI occupava li accanto un locale che io ricordo come un seminterrato. Per un certo periodo di tempo ne fu segretario Marcello Cimino. Lo ricordo intento a pulirne il pavimento la mattina presto. Marcello Cimino era figlio di un generale dell'Esercito e di una nobildonna ed aveva scelto il PCI come scelta di vita. Combatteva per una Sicilia diversa in una Italia rinnovata. Fu Ad Agrigento dal 48 al 52. Era marito di un'altra grande anima della sinistra siciliana: Giuliana Saladino, una persona che ha testimoniato la Sicilia con la sua attività letteraria giornalistica e politica.
http://www.comune.palermo.it/archivio_biografico_comunale/schede/marcello_cimino.htm


I mobilbar radio

Arrivarono ad Agrigento ritirati da un negozio situato quasi sotto il ristorante "Giugiù" i primi mobilbar radio . Erano magnifici apparecchi radio supportati da un piccolo mobile a volte scintillante di specchi. Alcuni avevano anche il giradischi,. In genere erano mobili belli a vedersi fatti di legno lucidato o intarsiato.
I netturbini di Agrigento furono tra i primi a comprarli e fecero a gara tra di loro chi lo avesse più bello più grande più colossal dell'altro.
Lo compravano a rate, lunghissime rateazioni, che il proprietario del negozio veniva ad esigere personalmente collocandosi a fianco dello sportello dal quale veniva pagato il salario. Tutti ebbero la radio ed anche un posto dove tenere qualche bottiglia di liquore! Tutti pagarono regolarmente le loro rate!
Io che cominciavo a fare il sindacalista ed a difendere i diritti di questa come di altre categorie ne fui contento perchè la radio in casa di tutti era strumento per la crescita culturale e l'informazione.
La televisione sarebbe arrivata molti anni dopo.


Raffieli

C'era un omino dai capelli tutti neri che però doveva essere molto anziano che si guadagnava da vivere con un carrettino trainato da un vecchio asinello. Un piccolo asino malandato che a volte mostrava una vistosa piaga sul dorso. Un animale che Raffieli caricava a volte fino all'inverosimile e che spesso, quando la strada si inerpicava in salita, non riusciva a farcela. Raffieli si disperava ed imprecava contro l'asinello che, con molto coraggio e molto eroismo puntava i piedi e cercava in qualche modo di far muovere il carretto. Quando Raffieli imprecava contro l'asinello si radunava un piccolo gruppo di monelli che assistevano sghignazzando e strillando alla scena facendo la caricatura di Raffieli. Il quale si incazzava e si disperava perchè non riusciva a raggiungere con la frusta nessuno dei monelli.
Raffieli ed il suo asinello non dovevano essere molto ben nutriti. Qualche volta soffrivano la fame. Ma affrontavano insieme coraggiosamente la vita. Raffieli imprecando ed agitando la frusta, l'asinello con la forza di tutta la sua buona volontà e voglia di far contento il suo povero padrone.


Furtunato l'Angiddraru

Quasi alla fine di Via Garibaldi c'era il negozio di frutta e verdura di Fortunato l'Angiddraru (pescatore di anguille era la "ingiuria" del padre). Era il negozio di frutta forse più importante di Agrigento, quello che forniva la migliore clientela la clientela che comprava la frutta più buona e più rara.Era scostante con i suoi pari quanto servizievole verso i denarosi ed i clienti benestanti. Molto borioso e pieno di sè specialmente verso i bambini che allora ronzavano come api attorno al miele ovunque ci fosse qualcosa da mangiare.
Ebbe un rovescio di fortuna. Perdette tutto non so come e perchè e si ritrovò senza un soldo in mezzo alla strada con una famiglia da campare.
Si ridusse proprio male. Lo si incontrava oppresso sotto il peso di ceste (carteddri) enormi
Era sempre stato magro poi si ridusse ad uno scheletro poveramente vestito. La miseria, gli stenti, lo fecero ammalare. Si ridusse da malato a fare il facchino al mercato ortofrutticolo di Santa Lucia, ad aiutare i commercianti a sistemare la roba sui loro mezzi.
Trovò requie quando ebbe assegnata una pensione di invalidità che in qualche modo lo mise al diqua del punto minimo di abiezione sociale.
Quando lo incontravo al tempo in cui aveva già traversato l'inferno e si trovava in qualche modo al riparo della modesta pensioncina era diventata un'altra persona. La miseria non l'aveva incattivito ma quasi addolcito e parlava volentieri con me.
Il padre di Fortunato era persona che si era fatta una piccola situazione di benessere salando e vendendo sarde e, appunto, pescando e vendendo anguille. Non dimenticherò mai l'impressione che ebbi quando comprai da lui delle sarde e me le incartò con le pagine appena strappate ad un romanzo, un libro da antiquariato scritto su due colonne con i periodi che iniziavano con una bella lettera artistica. La pagina che mi diede con le sarde era del romanzo che narrava le avventure di un certo Gillas (se mal non ricordo), un romanzo ottocentesco di autore scandinavo. L'angiddraru aveva una pila enorme di libri rilegati con le copertine che si vedevano nelle librerie ottocentesche. Tante tante pagine per incartare sarde salate.


L'Albergo Gellia

L'Albergo Gellia di Agrigento fu il sogno infranto di Diego Granata, una straordinaria persona con l'animo di mecenate che volle ristrutturare il vecchio albergo facendone un esempio di architettura perfettamente legata al colore della pietra di tufo agrigentino che arriva a volte ad essere quasi rosa ed un luogo per accogliere anche una elite di turismo non solo usa e getta. La sua cura dei particolare nel sovraintendere alla ristrutturazione era meticolosa, importante e costosa. Voleva i migliori materiali e si serviva dei migliori artigiani agrigentini. Nel corso della ristrutturazione ci fu una crisi di liquidità. Tutta la famiglia si mobilitò. Mio suocero il farmacista vendette la sua farmacia a Canicattì. Ma quanto si raggranellava non riusciva a coprire il buco che si era aperto e rischiava di diventare voragine. L'albergo fallì. Poco tempo dopo Diego Granata che la famiglia tutta ricorda come un giocondo ed amabile intrattenitore di bambini nelle feste che la radunavano cessò di vivere per un aneurisma cerebrale. Era cinquantenne.


La venditrice di sabbia

negli anni del dopoguerra c'era molta molta fame nella città.
Veniva non so da dove una donna molto vecchia, magrissima, vestita di un
nero che era talmente stinto da parere color cenere. Non so come facesse ma
si portava dietro un sacco di sabbia di roccia. La sabbia serviva allora per
pulire l'ottone e le pentole perchè era un ottimo abrasivo. Si usava assieme
a mezzo limone e si strofinava energicamente. La donna vendeva la sabbia per
pochi soldi. Soldi ne avevamo molto pochi e ci si industriava come si
poteva.


Beethoven

Di fronte al tribunale di Agrigento era la Farmacia Averna. Non so se c'è ancora. Il farmacista aveva un figlio di cui purtroppo non ricordo il nome. Un ragazzotto robusto con i capelli sempre scapigliati che non aveva molte amicizie. Io gli ero amico. Un giorno mi portò a casa sua e da un vecchio giradischi mi fece sentire la quinta sinfonia di bethoveen. Io non conoscevo la musica classica, non sapevo chi fosse Beethoven e ricordo che quella musica mi mise soggezione. Non posso dire che non mi piacesse. Mi piaceva ma mi incuteva, non so per quale ragione, timore. Il giovane Giandalia ne era rapito, estasiato e mi costrinse ad ascoltare per ben due volte il disco. Fu così a causa di questo mio bizzarro amico che all'età di dodici o tredici anni seppi di Beethoven.


I Ciarduni

Prima del 50 sbarcò ad Agrigento il signor Saito che impiantò un piccolo laboratorio di dolci ed un negozietto di vendita proprio davanti la scuola media situata tra la Chiesa di san Giuseppe ed altri negozi tra cui il grande magazzino di ferramenta dei fratelli Cascino. Il signor Saito introdusse ad Agrigento un fantastico dolce il ciardone che era una specie di cannolo ripieno di ricotta di pecora ricoperto all'esterno da uno strato di mandorle tritate. I ciarduni del signo Saito ebbero un successo strepitoso e presto il suo esercizio si trasferì in un grande locale di fronte attaccato quasi alla scuola.



I fratelli Cascino

erano una famiglia agrigentina di imprenditori. Gestivano un grande negozio di ferramenta quasi in Piazza Municipio e sopratutto la Keramos una fabbrica di laterizi situata ai piedi di Agrigento che occupava un centinaio di operai. La fabbrica andava bene fino a quando non si fece una innovazione che si rivelò un disastro. Un forno dal quale il materiale usciva spaccato. La fabbrica trascinò la famiglia e gli operai nella crisi. Era Presidente della regione Angelo Bonfiglio ed io ero segretario regionale della CGIL. Non riuscimmo a bloccare il disastro che sarebbe stato recuperato molto più tardi. Il grande magazzino fu ceduto assieme a tutti i beni della famiglia. Uno dei fratelli Cascino, il più giovane ma già sposato e padre di figli si armò di coraggio ed emigrò in Olanda dove per un paio d'anni si adattò a fare i lavori più umili e pesanti. Imparò bene la lingua e riusci ad inserirsi nell'industria olandese, Divenne presto un apprezzato manager. Era disceso agli inferi e ne era risalito. Un esempio di rara forza morale, tenacia, voglia di risalita, grande onestà. Le vicende olandesi della famiglia Cascino mi furono raccontate dal mio fraterno amico purtroppo scomparso Ferdinando Fiandaca cognato del ragioniere Cascino emigrato in Olanda.


La professoressa Clesi

Quando frequentavo la seconda media mia madre, preoccupata perchè non mi vedeva nè sereno nè contento, decise di parlare con la professoressa di italiano che abitava vicino casa nostra, in Via Garibaldi.
Accompagnai mia madre. Quando la professoressa venne a riceverla nella saletta di ingresso non fu gentile. Non chiese a mia madre neppure di sedersi. In piedi le comunicò senza darle il tempo di dire niente il suo verdetto. " Suo figlio è un somaro!" Girò le spalle ed andò via. Aveva in salotto il sacerdote professore di religione. Mia madre sbalordita era senza parole. Non si aspettava tanta ruvidezza.
Quell'anno fui bocciato. Quando andai a vedere "il quadro" in mezzo ad una folla di ragazzi in grandissima parte pieni di gioia per la promozione mi sentii male. Non dimenticherò che mi soccorse una cara e dolce ragazza. Si chiamava Stella Rizzo. Mi prese e mi portò alla baracchetta di mio padre in Piazza San Sebastiano. Avevo dodici anni.
Eppure le cose spiegate dalla professoressa Clesi che mi riteneva un somaro le ricordo quasi tutte. Ricordo che predilegeva Pascoli ed i decadenti. Le piaceva Panzini. Le spiegazioni che ci diede dei "due fanciulli" le ho ancora nelle orecchie. Era una selettiva classista. Io ero uno degli ultimi banchi e magari si chiedeva che ci facevo alla scuola media dell'elite agrigentina.
Sono ancora mortificato per l'umiliazione subita da mia madre. Ma ho un bel ricordo di Stella Rizzo come di una ragazza generosa della classe media agrigentina che capì quanto stavo male e mi tese la mano.


Mestieri

Passavano e gridavano la loro merce. Il primo di tutti era il pecoraio che veniva a vendere ricotta di pecora ancora calda racchiusa in una cavagna di disa un cespuglio di fortissimi fili di erba oppure in una cavagna di vimini. Dopo di lui ma sempre prestissimo a volte passava il contadino che vendeva i gelsi in piccoli graziosi orci coperti da una grande foglia di fico. Anche il capraru passava presto e mungeva davanti agli acquirenti il latte fumante, buon latte di capra! Poi passava il pescivendolo che il pesce quasi lo regalava tanto costava poco. Mia madre a volte comprava le "alaime" (rane pescatrici) che facevano un brodo straordinario oppure cassette di trigliola. Una prelibatezza che adesso credo sia scomparsa. Ma spesso comprava i rinomati merluzzi di Porto Empedocle che si mangiavano fritti. Il pesce era la proteina dei poveri.
Passava anche l'ombrellaio che riparava mettendosi sedere per strada con l'ombrello tra le gambe e la cassetta degli utensili accanto e chi riparava quartare giare o vasi. Praticava dei buc hi nella zona rotta legandoli con fil di ferro e spargendo mastice.


Il negozio Altieri e la Federazione del PCI

Nello stesso corpo dell'Albergo Gellia era il negozio Altieri un negozio di Must, di qualità ,nel quale si andava quando si doveva prendere qualcosa di buono. Ricordo che Giuseppina vi comprò il rasoio elettrico che mi regalò.
La Federazione del PCI occupava li accanto un locale che io ricordo come un seminterrato. Per un certo periodo di tempo ne fu segretario Marcello Cimino. Lo ricordo intento a pulirne il pavimento la mattina presto. Marcello Cimino era figlio di un generale dell'Esercito e di una nobildonna ed aveva scelto il PCI come scelta di vita. Combatteva per una Sicilia diversa in una Italia rinnovata. Fu Ad Agrigento dal 48 al 52. Era marito di un'altra grande anima della sinistra siciliana: Giuliana Saladino, una persona che ha testimoniato la Sicilia con la sua attività letteraria giornalistica e politica.
http://www.comune.palermo.it/archivio_biografico_comunale/schede/marcello_cimino.htm



Diego Granata e l'albergo Gellia

L'Albergo Gellia di Agrigento fu il sogno infranto di Diego Granata, una straordinaria persona con l'animo di mecenate che volle ristrutturare il vecchio albergo facendone un esempio di architettura perfettamente legata al colore della pietra di tufo agrigentino che arriva a volte ad essere quasi rosa ed un luogo per accogliere anche una elite di turismo non solo usa e getta.
La sua cura dei particolare nel sovraintendere alla ristrutturazione era meticolosa, importante e costosa. Voleva i migliori materiali e si serviva dei migliori artigiani agrigentini.
Nel corso della ristrutturazione ci fu una crisi di liquidità. Tutta la famiglia si mobilitò. Mio suocero il farmacista vendette la sua farmacia a Canicattì. Ma quanto si raggranellava non riusciva a coprire il buco che si era aperto e rischiava di diventare voragine.
L'albergo fallì. Poco tempo dopo Diego Granata che la famiglia tutta ricorda come un giocondo ed amabile intrattenitore di bambini nelle feste che la radunavano cessò di vivere per un aneurisma cerebrale. Era cinquantenne.





I fratelli Cascino

erano una famiglia agrigentina di imprenditori. Gestivano un grande negozio di ferramenta quasi in Piazza Municipio e sopratutto la Keramos una fabbrica di laterizi situata ai piedi di Agrigento che occupava un centinaio di operai. La fabbrica andava bene fino a quando non si fece una innovazione che si rivelò un disastro. Un forno dal quale il materiale usciva spaccato. La fabbrica trascinò la famiglia e gli operai nella crisi. Era Presidente della regione Angelo Bonfiglio ed io ero segretario regionale della CGIL. Non riuscimmo a bloccare il disastro che sarebbe stato recuperato molto più tardi. Il grande magazzino fu ceduto assieme a tutti i beni della famiglia. Uno dei fratelli Cascino, il più giovane ma già sposato e padre di figli si armò di coraggio ed emigrò in Olanda dove per un paio d'anni si adattò a fare i lavori più umili e pesanti. Imparò bene la lingua e riusci ad inserirsi nell'industria olandese, Divenne presto un apprezzato manager. Era disceso agli inferi e ne era risalito. Un esempio di rara forza morale, tenacia, voglia di risalita, grande onestà. Le vicende olandesi della famiglia Cascino mi furono raccontate dal mio fraterno amico purtroppo scomparso Ferdinando Fiandaca cognato del ragioniere Cascino emigrato in Olanda.


Mnemosine

Sono in vena di svuotare la cornucupia dei ricordi. I ricordi sono come le ciliegie: uno tira l'altro. Avevo cominciato a scriverle su "Agrigento in bianco e nero" il bel luogo di ritrovo degli agrigentini. Presto mi sono reso conto che rischiavo di essere troppo invadente con i miei frequenti e numerosi post rispetto quelli degli altri soci e così ho deciso di fare "U babbaluciaru" dove raccolgo tutto quello che sto ricordando prima che me passi la voglia.
http://www.didaweb.net/mediatori/articolo.php?id_vol=481
pubblicato in "Agrigento in bianco e nero"


Le suore di Via Oblate

Ho frequentato fino alla terza elementare dalle suore. L'istituto era in Via Oblate in cima ad una scala slabbrata. Le suore portavano in testa un copricapo bianco a larghissime tese. Feci amicizia, una amicizia che durò fino a quando la monaca restò ad Agrigento, con suor Luisa. Suor Luisa era di origine campana ed era buonissima.
Ricordo del convitto il giardino che era però in un corpo dell'edificio dal lato opposto della strada e molto più in basso. Mi è rimasto impresso per sempre nella memoria l'odore di gelsomini che sentivamo quando lo raggiungevamo nell'ora della ricreazione. Tra i compagnucci ricordo Franco Gaglio figlio di Gaetano che fu consigliere comunale del PCI. La mia amicizia con Franco è rimasta per sempre.


Toponomastica

Se qualcuno si chiede come mai molti nomi di strade agrigentine sono di personaggi della Grecia classica tipo Via Callicratide o altro la risposta è:sono stati proposti dal poeta e grecista Raimondo Firetto, dirigente delle Ferrovie dello Stato, segretario della sezione del PSI per un certo periodo di tempo. Il quale era assolutamente innamorato di tutto ciò che si riferisce alla letteratura alla tragedia alla storia della antica Grecia. Dopo aver appena tradotto una poesia di Saffo o di altro grande poeta gli si inondavano gli occhi di lacrime sotto gli occhiali, si commuoveva, la voce gli si spezzava......



Mario Bonfiglio

In Via delle Orfane di Agrigento c'era l'abitazione e lo studio di avvocato di Mario Bonfiglio, illustre figura di giurista e di politico purtroppo dimenticato dalla città. Mario Bonfiglio abitava con la sorella Margherita ed il fratello Salvatore, generale in pensione dell'esercito. Quando io li ho conosciuti erano tutte e tre oltre i sessanta anni, scapoli vivevano insieme . Margherita governava la casa.
Mario Bonfiglio era avvocato importante. La mattina la grande sala di aspetto del suo studio si riempiva di clienti che aspettavano pazientemente che lui finisse di fare le sue cose nel piccolo giardino accanto lo studio.
Molte persone venivano assistite gratuitamente. Mario Bonfiglio era stato sindaco di Agrigento energico e volitivo nel dopoguerra. Non fece mancare la farina ed il gasolio per andare avanti. Era demolaburista a differenza del fratello Giulio che era democristiano e fu Presidente dell'Ars. Anche il nipote Angelo fu democristiano e fu Presidente della regione siciliana.
Al tempo in cui frequentavo le medie non ricordo come ero diventato suo amico. Trascorrevo gran parte del mio tempo nel suo studio con lui ed il suo fedelissimo segretario dattilografo tuttofare Torregrossa. Un uomo di legge come lo sono certi assistenti di avvocato che purtroppo morì giovane perchè malato di cuore.
L'avvocato era burbero ed assai temuto da tutti per le sue sfuriate. Ma era un grande uomo.
Avevo dodici o tredici anni quando ebbi problemi di salute. Allungavo perchè ero nell'età dello sviluppo ma dimagrivo. Avevo le alucce alle spalle per vie delle scapole sporgenti. Bonfiglio mi mandò a farmi visitare dal suo parente dr.Savatteri il quale riferì all'avvocato che avevo soltanto bisogno di mangiare, mangiare proteine....
Da quel giorno per molti mesi ogni giorno ricevevo un uovo dall'avvocato. Se non andavo allo studio l'uovo mi veniva portato a casa dalla sua segretaria che me lo porgeva con un bel sorriso.
L'avvocato era Presidente del Consorzio del Voltano che forniva la meravigliosa acqua delle sue sorgenti. Direttore del Consorzio era l'ingegnere Sciascia una persona speciale.
Anni dopo, quando io divenni segretario della camera del lavoro di Agrigento feci una vertenza al Consorzio per conto dei dipendenti. L'avvocato ascoltava con attenzione compiaciuta le ragioni che io gli illustravo e se ne convinse pur essendone controparte. Quando la Commissione Provinciale di Controllo bocciò la delibera del Consorzio che recepiva gli accordi, fece ricorso e lo vinse. I dipendenti ebbero la pianta organica e gli scorrimenti di salari che io avevo contrattato! Questo era l'uomo!
Quando mi fidanzai nel 1963 lo andai a trovare. Fu felice di accogliermi e mi festeggiò assieme alla sorella Margherita.
Mori per le conseguenze di una polmonite alla Clinica Candela di Palermo.
E' stato per me uno degli incontri importanti e belli della mia vita. Non ho mai dimenticato nè lui nè la professoressa Maria Baeri che mi spronò e mi diede a leggere i suoi libri. Lessi Guerra e Pace nell'estate del 1950 a San Leone seduto sul gradino della sua abitazione davanti al nostro bellissimo mare africano.



Santu lì

Del lido di San Leone ho un ricordo bellissimo. Era un vero borgo. Sul lungomare si affacciava una fila di povere case (come in fondo sono poveri case e palazzi ad Agrigento) e nelle seconde file c'erano alcuni comodi i villini non molto appariscenti della borghesia agrigentina. All'imbocco del lungomare sulla destra c'era la casa della famiglia del mio carissimo amico Fausto D'Alessandro. Negli anni ruggenti del centro-sinistra volgarone e cementizio qualcuno penso bene di proporre e poi realizzare un progetto sul lungomare. Si allargò la striscia di strada e si cementificò creando un orribile (per me) passeggiata sul mare. Inoltre si fece un porticciolo che ebbe il terribile effetto di modificare l'andamento delle correnti marine per cui larghi tratti di dune sabbiose scomparvero per sempre. Non tenendo conto della necessità di mettere piante capaci di acclimatarsi alla forte salsedine marina si piantarono palme che presto apparvero patite e bruciacchiate ( così li ricordo). Insomma la bellissima incontaminata borgata agrigentina è stata rovinata per sempre. Leggo che adesso è luogo di incendi di stabilimenti balneari e probabilmente a causa della movida la notte non sarà più possibile dormire per i residenti.



Grattatella e lecca lecca!

Passava per le vie dei quartiere un ragazzone con una cassetta di legno che teneva attaccata al collo e nella quale teneva una forma cilindrica di ghiaccio e bottiglie di aromi: menta, amarena, fragola, limone etcc..Appena appariva era circondato subito da un nugolo di bambini che mostravano i soldini e reclamavano subito la loro grattatella. Il ragazzone era l'allegria in persona. Si divertiva a vedere i bambini eccitati ed impazienti. Tirava fuori un aggeggio con il quale grattava, letteralmente grattava, il ghiaccio. Il grattato si metteva in un bicchiere dove si versava l'aroma.- A volte non ci si serviva neppure del bicchiere. Si teneva in mano e quando la mano si raffreddava troppo si passava nell'altra mano.
A volte vendeva enormi Lecca Lecca. Si compravano in cooperativa ed ognuno aveva diritto a dare una leccatina a turno con gli altri.!!!



Il divano dei poveri

Passava il venditore e ti offriva da comprare un divano. In genere mostrava la foto di tre o quattro. Non c'era molto da scegliere. Offriva una rateazione così minima da invogliare tutti anche i più poveri a comprare. Ricordo un divano comprato da mia madre e pagato non so in quanti anni a 500 lire al mese. Il divano era buono e fatto di buon materiale. Questo avveniva quando ancora la vendita rateale non era diventata un fatto di massa. Ma anche rispetto a questa, era sempre straordinaria la piccolissima rata del venditore ambulante.




Cortei funebri


I cortei funebri più frequenti d'inverno che nelle altre stagioni (chissà perchè) attraversavano Piazza Municipio e poi Via Atenea. Chi se lo poteva permettere chiedeva la partecipazione delle orfanelle ricoverate negli istituti religiosi.Ricordo la carrozza mortuaria preceduta da due file di bambine a volte anche molto piccole, vestite poveramente, con la faccia pallida (cosi le ricordo) che in due file aprivano il corteo. Le bambine recitavano preghiere. Non so fino a quando è durata questa chiamiamola cosi "usanza" che io ricordo con grande tristezza per tutta la tristezza di quei piccoli visi che si sommava e diventava una sorta di sofferenza.


Professoresse

D'inverno si organizzava lecturae dantis. Erano molto apprezzate quella della Prof.ssa Maria Alaimo che venivano ascoltate da una gran folla di persone. Una volta ne ascoltai una dell'avv.to Eduardo Pancamo di cui ricordo benissimo gli occhiali la faccia colorita e la barbetta a pizzetto grigia.

Mi è rimasta nel cuore la mia professoressa. Si chiamava Maria Baeri ed era anziana di età indefinibile vestita sempre di abiti neri. Viveva assieme ad una sorella nella via che costeggia da sinistra Via Atenea. Entrò in grandissima costernazione quando a causa di uno sfratto fu costretta a trasferirsi a San Leone. Io l'aiutai nel trasloco che letteralmente l'atterriva. Passai una estate a San Leone seduto sullo scalino della casa in cui era provvisoriamente alloggiata a leggere i suoi libri e sentire il rumore e l'odore del mare. Mi comprò Anni Verdi di Cronin un libro che io ho amato moltissimo. Il mare odorava di cose buone ed era pieno pieno di ricci che si trovavano a nidiate sotto le pietre.



Ente Comunale di Assistenza

d'inverno il Municipio organizzava la mensa per i poveri. Dalla via dove abitavo saliva tutte le mattine una processione di persone in gran maggioranza donne anziane che si recavano all'Eca di Piano San Giacomo per consumarvi un piatto di minestra. Salivano tutti in silenzio la scala di Via Re e provenivano in grandissima parte dall'Addolorata. Io a volte mi univo a loro ed andavo a mangiare il mio piatto di minestra.A volte la minestra era fatta con broccoli pieni di vermi di cavolaia che quasi ricoprivano il piatto. Ma nessuno ci faceva caso o rinunziava a mangiare per questo.Quando si parla di cibi biologici bisogna ricordare che tutta la verdura e tutta la frutta era soggetta ad infestazioni parassitarie difficili a volte da debellare. Biologico è bello ma la bella frutta e verdura priva di parassiti e bella a vedersi è pure bello.